La virtù dei forti

In queste mattine, la risposta più immediata alle nuove misure restrittive emanate da Governo e Regioni è stata la formazione di interminabili code davanti ai supermercati. Ovunque. In Lombardia e nel resto d’Italia. Code ordinate, certo, con le persone tutte più o meno a un metro di distanza, tutte più o meno con guanti e mascherine. Eppure tutti là. Comunque vicini. Un’atavica paura della fame, di restare privi del necessario, appena più controllata di quella esplosa qualche settimana fa alla notizia dei primi contagi.

D’acchito, questa cosa mi respinge. Ci trovo, istintivamente, qualcosa di sbagliato, anche se non capisco subito cos’è. Poi mi siedo a tavola per pranzo, e mi preparo una fetta di pane ai cereali – non quello fresco, ma quello che si compra già affettato, in sacchetti, proprio al supermercato – con olio e pomodoro. Una fetta di pane, una manciata di pomodorini, un cucchiaio d’olio. Mangio con calma, quindi affetto un kiwi, un po’ aspro come piace a me, e alla fine metto le poche cose che ho sporcato nella lavastoviglie.

Mi accorgo allora di due cose. La prima, è che sono soddisfatto. La seconda, è che questo virus ci obbliga a fare i conti con qualcosa a cui non siamo più abituati, qualcosa che una volta era considerata una virtù e che adesso, paradossalmente, con tutto quello che siamo abituati ad avere a disposizione, sembra quasi uno spreco. La parsimonia. Parsimonia di cose, di cibo, persino di relazioni.

Fatico a credere, onestamente, che nelle case di tutte queste persone in coda ci sia una reale penuria di cibo o di beni di prima necessità. Penso piuttosto – e sarei felice di sbagliarmi – che la maggior parte di quelle persone sia lì per accumulare, per incrementare le proprie scorte di cose e di cibo, per timore di un’ulteriore, traumatica stretta.

Ora, se anche questa stretta dovesse esserci, quale sarebbe la quantità di cibo necessaria per resistere? E per quanto tempo? Riempirsi la casa all’inverosimile non sarebbe comunque una risposta adeguata.

Ciò che sarebbe adeguato, nella mia modestissima opinione, sarebbe cambiare atteggiamento. Per esempio, si potrebbe mangiare di meno. Ridurre le quantità. Fare in modo che un pacco di pasta o una bottiglia di latte duri uno o due giorni in più rispetto a tempi “normali”. Approfittando, en passant, per riflettere su quanto fossero preziosi l’abbondanza e il benessere che fino a due settimane fa consideravamo tanto scontati.

“Ma io ho i bambini!” Be’, i bambini si educano. “Ma le persone anziane!” Sono proprio quelle che non hanno bisogno di abbuffarsi, e che conoscono la parsimonia meglio di tutti. Non tutti i bambini e gli anziani del mondo consumano quello che consumiamo noi, e vivono bene lo stesso.

Noi no. Noi non possiamo, anzi, noi non riusciamo ad accettare l’idea della misura – figuriamoci quella della rinuncia (a meno che non serva per dimagrire). “L’esercizio fisico all’aria aperta è fondamentale per l’equilibrio psico-fisico”. È vero. Anche la meditazione. E l’introspezione. Ed entrambe si possono fare tranquillamente in un angolo del proprio terrazzo illuminato dal sole. Anche curare le piante. O fare un po’ di esercizio a corpo libero nel salotto, o in corridoio, o ovunque ci sia un minimo di spazio, da soli o con la propria famiglia.

Possiamo fare meno, almeno in questi giorni difficili. È alla portata di tutti. Allora facciamo meno. Proviamo a educarci. Non mangiare lo stesso numero di merendine che mangiavi prima – o di qualsiasi cosa sia – e dureranno di più. Riduci le quantità dei tuoi pasti, delle cose che usi una volta sola e poi butti via. Non avrai bisogno di perdere tutto questo tempo davanti al supermercato, né di comprare tutte quelle cose. Stai più tempo con te stesso, riduci le chat, prova a guarire da questa smania irrefrenabile di condividere ogni momento della tua vita. Medita. Ritagliati un momento per essere creativo. Quelle che sembrano limitazioni, sono in realtà un’occasione per guadagnare in autonomia.

Leggi un buon libro, ascolta musica, riscopri i tuoi figli – o impara a conoscerli ora che stai passando tanto tempo con loro. Riscopri tua moglie, o la tua fidanzata, e se non puoi scrivile una lettera d’amore. Non un messaggio, non un vocale, non una foto dei tuoi genitali. Una lettera, lunga, pensata, con dentro tutto quello che provi. Impara ad aspettare e dagliela quando vi rivedrete. Fai lo stesso con i tuoi amici. Offri loro più dello spazio esteriore di una videochiamata, ma quello in cui sei più autentico e fragile, cioè quando sei solo.

Questo virus ha mirabilmente colpito i fondamenti della nostra società opulenta, svelandoci più grassi, più pigri e più deboli di quanto abbiamo mai voluto crederci. Nello spirito, oltre che nel corpo. Andrà tutto bene e ne usciremo più forti di prima solo se approfittiamo di questo tempo imposto per fortificare le uniche armi che abbiamo e che abbiamo mai avuto: la consapevolezza di noi stessi, un animo pronto, una personalità adulta. Non c’è nient’altro.

Non è una sfida impossibile e non è nemmeno la luna. Si può fare. Tutti possiamo. Con piccole cose.

E con quel meno che è molto di più.

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