Il piacere di cucinare e basta

Nonostante lo smart working, in questo periodo di quarantena ho inevitabilmente più tempo per fare cose che, di solito, non faccio, vuoi per mancanza di tempo, vuoi perché – preso da altro – mi passano di mente.

Una di queste è cucinare. Intendiamoci, non sono uno chef e nemmeno il depositario di raffinate ricette innovative. Sono un maschio adulto medio, in grado di preparare in piatto di pasta con una certa varietà di sughi in modo accettabile, qualche antipasto appena più elaborato delle bruschette al pomodoro, e che deve fare ancora un po’ di pratica con i secondi e, soprattutto, con i dolci. So fare una frittata (in tutti i sensi, direbbe qualcuno, e anche più di una alla volta), cuocere un hamburger e infornare i bastoncini Findus, condire un’insalata senza esagerare con il limone, o l’aceto, o il sale, e poco altro. Insomma, un livello basic, forse un intermediate di basso profilo, se guardiamo alla buona volontà, e non molto di più.

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Prima colazione

Devo sedermi in un bar, un decadente bar di cinesi, grossolano, un po’ sporco, visitato dai viaggiatori svogliati del primo mattino. Magari uno di quelli incastrati tra i corridoi delle stazioni. In questo, Milano è come Parigi: ovunque ci sono cunicoli nel sottosuolo invasi dall’odore del burro. Voglio bere un caffè guardando distrattamente i titoli dei giornali. Il Corriere, poi la Gazzetta, addentando una brioche al cioccolato che sparge briciole dappertutto. Alzarmi sazio, contento, uscire all’aperto, continuare a camminare.

Il Gragnano

 

tavernaIl lato oscuro della Campania, l’anima nera della Falanghina. Tanto quella è delicata e candida, tanto questo è sporco e cattivo.

Il Gragnano è un vinaccio frizzante, da istinti primordiali. Un manigoldo da bettole  della peggior risma, che non si beve e non si degusta: si butta giù alla viva il parroco da bicchieri di vetro spesso.

Si accompagna ad acerrime partite di tressette, di briscola e di scopone scientifico, durante le quali contribuisce a sparigliare carte e pensieri, suggerendo bestemmie feroci e occhiate in tralice.

Va da sé che questo vino preferisce pietanze altrettanto sfacciate: le salsicce coi friarielli, la trippa, il panino con la polpetta, la frittatina di maccheroni, il “panuozzo” e altre delicatezze simili. Non disdegna i provoloni piccanti e gli affettati, purché rigorosamente vietati dai dietologi.

Vivamente sconsigliato per un primo appuntamento o per tavole di palati fini, è perfetto per rimpatriate tra amici che non vedono l’ora di rivelarsi i segreti più inconfessabili.

Può presentarsi vagamente sessista, come un vino maschile e patriarcale, ma non teme donne consapevoli e con le spalle solide, ballerine di taranta, suonatrici di nacchere.

Se una volta ogni tanto vi va di lasciarvi alle spalle le buone maniere e di concedervi un giro nei bassifondi, di abbandonarvi all’istinto e poi tirare l’alba cantando a squarciagola sorreggendovi a vicenda, be’, portatevi un Gragnano: poi dovranno venire a recuperarvi da qualche regione remota di voi stessi e ricordarvi il vostro nome ma, credetemi, ne sarà sicuramente valsa la pena. Prosit!

Pallagrello Nero Terre del Principe 2013

Mi imbatto in questo giovane rosso in una piacevole sera d’agosto.

Il contesto è splendido: la fattoria Terranova, arroccata sul promontorio che domina Sant’Agata sui due golfi, a Massa Lubrense. La sera è chiara. Dalla grande terrazza si vedono chiaramente le luci della costa e il placido profilo dell’isola dei Galli. Il clima è mite. Non si potrebbe chiedere di meglio.

Il servizio è impeccabile, la compagnia bella. Ordiniamo antipasti misti e un assaggio di diversi primi. “E il vino?” Chiede il titolare. Ci facciamo consigliare, ed è una scelta felice.

pallagrello nerpCi arriva al tavolo questo Pallagrello di cui, francamente, non avevo mai sentito parlare. E’ vero che non sono un esperto, quindi la mia ignoranza non fa testo, ma questa volta c’è una ragione oggettiva: si tratta infatti di un vitigno riscoperto da poco e perciò di un vino (o, se preferite, di una varietà) da poco in commercio.

Ci viene proposta una vendemmia del 2013. Un giovanotto, dunque. Forse troppo. Qualcuno storce il naso. “Fidatevi”, dice il sommelier. Ci fidiamo.

A dispetto della giovane età, in effetti, questo rosso è pieno di carattere: colore magnifico, gusto robusto, grande personalità. Si accompagna benissimo alla varietà di piatti che abbiamo in tavola: fritturine, frutti di mare, latticini, polpo in insalata, verdure sott’olio e grigliate, bruschette classiche, bruschette con paté, primi di terra e di mare. Il pallagrello trova il suo spazio, gioca di squadra, senza cancellare i sapori e senza tirarsi indietro. Bocca e palato non restano indifferenti, e conservano a lungo la traccia del suo passaggio. Sono i tannini, questo lo so. Un pelino forti, ma non ancora abbastanza da essere fuori misura.

Pare che vogliano farne un vino da invecchiamento, proprio per ammorbidire il suo colpo di coda. Be’, sarà interessante scoprire questo prorompente giovanotto in che genere di maturo signore si trasformerà. Per ora, all’esordio, lo promuovo a pieni voti.