Io e Jonne facciamo spesso un sogno ad occhi aperti. Se avessimo abbastanza soldi – diciamola tutta, se fossimo abbastanza ricchi – ci piacerebbe comprare un casale in Toscana. Lo so, è un’idea tanto originale quanto quella di mollare il lavoro e aprire un chiringuito su una spiaggia nel Golfo del Messico, ma noi siamo persone così, alla buona, con sogni semplici.
E quindi, il casale. Che farei meglio a definire “il borgo”. Eh sì, perché il casale sognato ha caratteristiche non propriamente minimaliste: un blocco centrale adibito a casa padronale (indovinate per chi?), con una cucina che occupi gran parte del pian terreno – grande abbastanza, per capirci, da competere con quella delle grandi abbazie medievali: uno spazio sfacciato, con l’isola di cottura al centro, mille mila fuochi, e piani di lavoro, lavelli, frigoriferi e credenze ciclopiche allineate lungo le pareti. Poi ampi saloni dedicati alla zona conversazione, al pranzo e alla televisione. Gli spazi, diciamo così, della vita in comune. Tutte le camere private (va da sé, direi) sarebbero al piano di sopra, meglio se dotate di terrazzino.
Intorno al corpo centrale dovrebbero esserci, in ordine sparso: uno o due corpi secondari in cui ricavare tre o quattro miniappartamenti, preferibilmente indipendenti, da destinare agli ospiti. Attenzione: quando dico ospiti non intendo turisti o clienti di un ipotetico B&B. Intendo proprio ospiti: parenti e amici (vi rendete conto, quindi, della quantità di denaro di cui stiamo parlando… ma sognare è gratis, quindi tanto vale farlo in grande); una rimessa per gli scooter, in cui stivare almeno un mezzo per ciascuna dépendance, per le gite in città o le scollinate nei paraggi (quest’idea è partita da me), e una stalla in cui alloggiare una quantità non ben definita di animali. Quest’idea, invece, è partita da Jonne e l’unica cosa che so con certezza è che ci saranno dei cavalli. Per il resto, mi preparo a ospitare l’Arca di Noè.
Ho sicuramente dimenticato qualcosa per strada (la piscina, per esempio, oltre a ettari ed ettari di verde campagna toscana), ma più o meno dovrei aver reso l’idea del contesto.
Ora, devo confessare, che sebbene mi entusiasmi il pensiero di realizzare questo po’ po’ di roba (siate gentili, non chiedetemi come penso di fare), ogni tanto qualche dubbio mi viene: una sorta di nuvoletta che si addensa nel cielo altrimenti sereno di questa piccola fantasia bucolica. La realtà, direte voi. Le risorse finanziarie. Il business plan. Lo studio di fattibilità. I permessi. La burocrazia. No.
Una cosa più terra terra.
La convivenza.
Mi spiego. Vedete, io sono un tipo contemplativo: amo la riflessione, la lentezza, la meditazione; Jonne, al contrario, è un organismo ipercinetico che vive di moto perpetuo, una cultrice dell’attività, un turbine che anela la velocità come un futurista della prima ora. Io ho un animo da gatto acciambellato sul divano, lei uno spirito da cane sguinzagliato al parco, sempre pronta a rincorrere qualcosa. Io sono un uomo d’amore, Jonne è una donna di libertà. Io sono napoletano, lei è milanese. Con questo, ho detto tutto.
Date queste opposizioni, capirete perché di tanto in tanto, ripensandoci, temo che il casale in Toscana sia un’impresa al di là delle mie possibilità emotive. Verrei accusato di continuo (e a ragione, possiamo dire) di essere uno scansafatiche. D’altronde una delle sue frasi preferite è Sbrigati, aiutami, lazzarone! (che è un po’ la nostra versione elegante e casalinga del più celebre e sbrigativo va’ a lavurà, terùn!). Ma è così che vanno le cose, in casa: mentre io contemplo lei opera – a una velocità alla quale, purtroppo, quando ho finito di contemplare lei ha finito di operare e per me non c’è più niente da fare – e talvolta questi due mondi collidono.
Figuriamoci al casale, quindi: io a godermi la mia idea del tempo lento, speso in lunghe pause meditative, o addirittura la possibilità di stare fermo a leggere, a scrivere, a godermi il tempo che passa lontano da rumori di traffico e voci moleste, Jonne in assetto da battaglia – stivaloni di gomma, cappello di paglia e tutto – sempre indaffarata: stanze da sistemare, cucina da pulire, la spesa, la cura dell’orto, il prato, gli animali. Sarei mandato in continuazione a fare questo o quello (per essere buoni…), e sbattuto di qua e di là come la spoletta di Penelope. Altro che lunghe pause contemplative!
Capirete quindi perché, a meno di non volerci mettere dentro anche una adeguata servitù – diciamo efficiente e invisibile – talvolta il sogno del casale mi appare al di là della mia portata. Certo, potrei forse appassionarmi alla cura dei cavalli. Forse avremmo delle chances con il giardino, dove potrei tentare di curare alla meglio le erbe aromatiche. Credo di avere buone possibilità anche nella cura della piscina, laddove potrei avviare e ritirare quei docili robot che, bontà loro, fanno tutto da soli.
Poi, certo, ci sarebbe la rimessa degli scooter; lì, forse, guidato dai fratelli di Jonne, potrei imparare i rudimenti dell’ordinaria manutenzione della motocicletta (che, come alcuni di voi sapranno, è un’ottima introduzione allo zen).
Poi la cucina, certo, anche lì abbiamo qualche speranza. Io farei sempre i miei spaghetti al pomodoro e le mie penne con le zucchine, e forse, nei giorni buoni, una colatura di alici, ma considerate le dimensioni che vogliamo ci sarebbe spazio a sufficienza – e pentole, e tegami, e utensili vari – per lavorare insieme, a cose diverse, senza darci sui gomiti (e sui nervi) a ogni pie’ sospinto.
Ecco, la cucina è la mia ancora di salvezza. Potrebbe essere il nostro luogo di incontro, uno spazio condiviso dove, per qualche ora al giorno, le nostre diverse velocità potrebbero allinearsi.
Chiudo quindi con questa nota di ottimismo. Ora non mi resta che trovare i soldi. A questo proposito, se arrivati fin qui voleste fare una donazione, sarebbe cosa gradita. Prometto, a cosa fatte, di invitarvi al borgo per un intero weekend.
Ricordate solo, nel caso, di portare scarpe comode e abiti spicci: Jonne vi troverà sicuramente qualcosa da fare…