Lei aveva gli occhi aperti (parte 3)

E insomma eccoci qui, al finale di stagione. In realtà, al finale e basta. Se avete letto anche le prime due parti avete la mia eterna gratitudine. Se non lo avete ancora fatto e dovesse andarvi, trovate la prima qui e la seconda qui. Se lo fate, va da sè, avrete la mia eterna gratitudine.

In ogni caso, buona lettura.

4

Il concerto era andato bene. Nel palasport esaurito, a pochi metri dal palco, Andrea e Deb erano stati abbracciati la maggior parte del tempo. Avevano ballato vicini, avevano saltato e cantato, avevano battuto le mani a tempo con gli altri. Io mi ero limitato a guardarli, restando qualche fila più indietro, con Nico e Alessandro. Dopo un po’ li avevo persi di vista. Il gruppo faceva un rock tradizionale, alternando pezzi scatenati a ballate romantiche. Col passare del tempo tenere fermi i piedi era diventato impossibile e per quasi due ore avevamo ballato come pazzi. Alla fine eravamo sudati, affannati e contenti.

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Lei aveva gli occhi aperti (parte 2)

E insomma eccola qua, la seconda parte del racconto. Che ci crediate o no qualcuno me l’ha addirittura chiesta (sicuramente perché mi vuole bene, ma va bene lo stesso).

Se proprio volete sapere cosa c’è prima e cominciare dall’inizio partite da qui. Altrimenti, andate avanti e godetevi il secondo round.

2

“A mio fratello”, dice Nico, alzando il bicchiere. Siamo al quarto, forse al quinto giro, e da qualche minuto ho difficoltà a seguire la conversazione.

“Ad Andrea”, dice Alessandro.

Deb alza la sua birra. “Al migliore di noi”, dice. Manco solo io.

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Lei aveva gli occhi aperti (parte 1)

Anni fa ho frequentato un corso di scrittura creativa. Non ne ho ricavato granchè, in termini di competenze narrative. In compenso, ho incontrato belle persone, veri amici, con i quali ho vissuto alcuni tra i momenti più belli degli ultimi anni. E’ andata bene lo stesso, direi. 

Ad ogni modo, tra gli esercizi che ci venivano assegnati per casa – proprio come a scuola –  ne ho portati a termine alcuni – proprio come a scuola. Qualcuno in tempo, qualcuno dopo. Scartabellando ne ho recuperati tre, e ho pensato di proporli qui. Non tutti insieme, ovviamente, sennò sai che palle, ma un po’ alla volta, come fossero feuilletons dell’Ottocento. 

Se vi va, se avete tempo e voglia, magari dategli un’occhiata e fatemi sapere cosa ne pensate.

Con delicatezza, please.
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L’ora dei fantasmi

Mi sveglio sudato, con lo stomaco indolenzito, in preda a un diffuso malessere. È buio. Jonne è sdraiata al mio fianco, girata di spalle. Non capisco se dorme o è sveglia. A scanso di equivoci, mi alzo con cautela. Il gatto, che come al solito è allungato tra noi, non fa una piega.

In cucina l’orologio digitale sul microonde indica le quattro e qualcosa in rigorosi numeri verdi. Prendo l’acqua dal frigo e bevo un primo bicchiere tutto d’un fiato, poi me ne verso un secondo e sorseggio, appoggiato al lavello, dicendomi per l’ennesima volta che devo smettere di pasticciare con gli aperitivi e di saltare la cena. Ho la pancia gonfia e dura come un tamburo. Lascio il bicchiere nel lavello e torno a letto. So che ora mi aspettano ore di difficoltoso dormiveglia, di movimenti circospetti e di attesa, col cervello che rumina recriminazioni e catastrofi. Le scelte importanti della vita che ho sbagliato, le opportunità che ho perduto, la piega leggermente estranea che ha preso la mia vita. Nessuno dovrebbe stare sveglio suo malgrado nelle ore che precedono l’alba. È l’ora dei fantasmi.

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