Voglio fare l’amore con te in tutte le città d’Italia. Voglio farlo a Venezia, a Roma, a Firenze, a Catania, a Milano, a Napoli, a Palermo, a Bologna. Voglio farlo nei borghi medievali, nella baite di montagna, in riva al mare, con la sabbia che si appiccica alla pelle e si impasta nei capelli. Voglio farlo d’inverno mentre fuori piove, e d’estate, con le finestre spalancate e il sudore che ci cola lungo i fianchi. Voglio farlo ai bordi della strada, in macchina, sul sedile posteriore, come adolescenti in un drive in. Voglio farlo a casa dei nostri amici tra una portata e l’altra della cena, di nascosto. Voglio farlo sul traghetto, in treno, e se siamo bravi anche in aereo, in piedi, contro la porta chiusa della toilette di coda. Voglio guardare le tue gambe inguainate nelle calze, conoscere a memoria le tue scarpe, le camicette, i cappelli, le mutande. Voglio svegliarmi ogni mattina avvolto nel tuo odore.
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La virtù dei forti
In queste mattine, la risposta più immediata alle nuove misure restrittive emanate da Governo e Regioni è stata la formazione di interminabili code davanti ai supermercati. Ovunque. In Lombardia e nel resto d’Italia. Code ordinate, certo, con le persone tutte più o meno a un metro di distanza, tutte più o meno con guanti e mascherine. Eppure tutti là. Comunque vicini. Un’atavica paura della fame, di restare privi del necessario, appena più controllata di quella esplosa qualche settimana fa alla notizia dei primi contagi.
Una bella storia breve
Le belle storie appartengono a tutti. Quella che segue l’ho trovata in un libro e ho deciso di riportarla qui perchè, nella sua semplicità, mi è piaciuta un sacco.
“Un’estate ho fatto la guardia forestale per quattro mesi, nell’Oregon. Per tutto quel tempo ho vissuto da solo, e siccome in giro non c’era anima viva, me ne stavo praticamente senza vestiti. Vivevo nel cuore della foresta. Alla fine dell’estate ero abbronzatissimo e calmissimo. Si era alla fine di agosto e io ero accovacciato a raccogliere delle bacche da un cespuglio. Ad un tratto ho sentito una lingua che mi leccava la spalla, e lentamente ho girato la testa. Era una cerva, che mi leccava il sudore dalla schiena! Restai immobile. Poi la cerva si mise accanto a me, e tutti e due mangiammo in silenzio le bacche di quel cespuglio. Ero stupefatto! Che un animale potesse avere tanta fiducia in me”.
Il politico a punti
La rocambolesca vicenda delle primarie del Movimento 5 Stelle, tanto per dirne una, mi fa venire in mente che per la valutazione dei politici dovremmo utilizzare un sistema di rating tipo quello della patente a punti.
Il sistema della patente è noto: ogni automobilista parte da un numero di punti prestabilito. Ogni infrazione al codice della strada costa una perdita in termini di punti proporzionale alla gravità dell’infrazione stessa: più grave è l’infrazione, più alto è il numero dei punti persi. Quando l’automobilista perde tutti i punti, gli viene tolta la patente e deve rifare l’esame. Ma il sistema funziona anche al contrario, premiando quelli che guidano secondo le regole: per ogni anno passato senza infrazioni si guadagnano punti che aumentano il capitale iniziale. Nell’insieme, e almeno in teoria, mi sembra un buon modo per tenere sulla strada solo quelli abbastanza capaci di guidare da non costituire un pericolo per sé e per gli altri.
Riportiamo tutto questo alla politica. Non me ne vogliano i Cinque Stelle se li uso come esempio, si tratta solo degli ultimi in ordine di tempo di una lunga, ahimè lunghissima fila, tristemente bipartisan (o tripartisan, o coalipartisan).
L’ora dei fantasmi
Mi sveglio sudato, con lo stomaco indolenzito, in preda a un diffuso malessere. È buio. Jonne è sdraiata al mio fianco, girata di spalle. Non capisco se dorme o è sveglia. A scanso di equivoci, mi alzo con cautela. Il gatto, che come al solito è allungato tra noi, non fa una piega.
In cucina l’orologio digitale sul microonde indica le quattro e qualcosa in rigorosi numeri verdi. Prendo l’acqua dal frigo e bevo un primo bicchiere tutto d’un fiato, poi me ne verso un secondo e sorseggio, appoggiato al lavello, dicendomi per l’ennesima volta che devo smettere di pasticciare con gli aperitivi e di saltare la cena. Ho la pancia gonfia e dura come un tamburo. Lascio il bicchiere nel lavello e torno a letto. So che ora mi aspettano ore di difficoltoso dormiveglia, di movimenti circospetti e di attesa, col cervello che rumina recriminazioni e catastrofi. Le scelte importanti della vita che ho sbagliato, le opportunità che ho perduto, la piega leggermente estranea che ha preso la mia vita. Nessuno dovrebbe stare sveglio suo malgrado nelle ore che precedono l’alba. È l’ora dei fantasmi.