Leggendo Il silenzio

“È vero che facciamo tutti parte di un continente, ma dobbiamo anche renderci conto delle potenzialità di essere un’isola.”

A volte penso che la mia attrazione per la solitudine, la mia diffidenza per i riti della socialità, o meglio per la loro sovrabbondanza, siano in qualche modo legate a una forma di disadattamento. Sono, in fondo, una persona timida e introversa, con un livello non sempre adeguato di autostima.

Poi mi imbatto in libri di persone parecchio diverse da me, persone coraggiose, che fanno cose fuori dal comune che io non farei mai, come, per esempio, andare da soli al Polo Sud.

È il caso di questo Erling Kagge, un norvegese che è stato il primo uomo a raggiungere il Polo Sud in solitaria e il primo a raggiungere i tre Poli, cioè il Polo Nord, il Polo Sud e una cima dell’Everest. Mica cotiche!

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La virtù dei forti

In queste mattine, la risposta più immediata alle nuove misure restrittive emanate da Governo e Regioni è stata la formazione di interminabili code davanti ai supermercati. Ovunque. In Lombardia e nel resto d’Italia. Code ordinate, certo, con le persone tutte più o meno a un metro di distanza, tutte più o meno con guanti e mascherine. Eppure tutti là. Comunque vicini. Un’atavica paura della fame, di restare privi del necessario, appena più controllata di quella esplosa qualche settimana fa alla notizia dei primi contagi.

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Descrivere un’opera di Banksy

In questo periodo pieno di rovesci mi hanno chiesto di scrivere un breve esempio di storytelling scolastico. Il tema era una delle opere che Banksy a realizzato sul muro di separazione tra arabi e israeliani a Betlemme. Non so come, mi sono ritagliato un quarto d’ora di pace e l’ho fatto. Ecco il risultato.

È uno strano posto, il Muro. È una barriera di cemento alta otto metri, sormontata dal filo spinato e protetta da soldati col fucile. Divide la città in due. Questa città, Betlemme, che per mezzo mondo è un luogo sacro, per molti di noi oggi è soltanto noi di qua, loro di là.

Di certo il Muro fa parlare di sé, e attira un mucchio di gente. Anche artisti famosi. Come Bansky, quel tizio inglese di cui, a parte il nome, nessuno sa nulla. Quello che ha dipinto sui muri praticamente di tutto il mondo. Uno street artist, lo chiamano. Uno che fa della strada la sua tela.

Qualche anno fa, in un’intervista rilasciata via email (non c’è altro modo per intervistarlo) alla domanda sul perché fosse venuto in questa regione pare che abbia risposto di essere attratto perlopiù dal Muro. “La superficie sembra in grado di assorbire molto bene la pittura”, ha detto.

Ad ogni modo, io vengo al Muro soprattutto per accompagnare mia sorella più piccola, Amira. I nostri genitori non ne sarebbero molto contenti, se lo sapessero. Dicono che non bisogna fidarsi dei posti pieni di gente e di soldati. Dicono che non sai mai quello che può succedere. E hanno ragione, se ne sentono di tutti i colori. Ma Amira è troppo piccola per capirlo. “Andiamo a guardare i disegni”, mi dice, tirandomi per la manica, quando i nostri sono al mercato.

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Conversazione

“Perché non ti sei mai sposato?”

“Ti sbagli. Mi sono sposato, e sono anche rimasto fedele per tutta la vita: al piacere di camminare leggero per strada senza fretta, all’ordine della mia casa, alla libertà di scegliere in ogni momento le cose che mi va di fare…”

“Sembra una cosa da ragazzini.”

“Non lo è.”

“Ma hai pagato un prezzo.”

“Tutti lo pagano. Anche quelli che sposano un’altra persona. È solo un prezzo diverso.”

“E non ti senti mai solo?”

“Qualche volta, sì. Ma tu? Hai una bella moglie e due splendide figlie. Non ti senti mai solo?”

Ci pensa. “Sì”, dice. “Qualche volta sì.”

Bevo un altro sorso della mia birra e aspetto la prossima domanda.

Sunday Morning

Valeria sleeps. I take the keys and I allow myself a walk through the semi-deserted and silent streets. A chocolate croissant and a coffee at the waterfront chalet. The guy in the bar wants to talk and tells me about his passion for Jennifer Lopez, who meanwhile is seductively dancing on MTV’s screen. Before that, had passed the video of Serebro, three Russian girls winking and a bit slutty, but nice. I pay and go out.

I walk in the shade of the Villa’s trees, then I sit on a bench. It’s not yet ten o’clock and the heat is already terrible. I look at Naples. The calm sea, the boats at anchor, the Posillipo hill. It’s all beautiful and I’m at peace. I think of this city as a woman victim of domestic violence, mistreated every day by those who say they love her. I look for words to describe this perversion of the Neapolitans, but I can’t find the right ones. I only know that the Camorra is not the cause, but the consequence.

I return home without haste. Piazza dei Martiri, via Alabardieri, Belledonne alley. Even there, everything is quiet. Shops closed, in the bars staff are cleaning. Maybe at lunch time there will be some aperitives. I arrive home. I have to work but first I want to remember these things. Valeria is still asleep. Argo roams free, somewhere in the Torca garden.