Nonostante lo smart working, in questo periodo di quarantena ho inevitabilmente più tempo per fare cose che, di solito, non faccio, vuoi per mancanza di tempo, vuoi perché – preso da altro – mi passano di mente.
Una di queste è cucinare. Intendiamoci, non sono uno chef e nemmeno il depositario di raffinate ricette innovative. Sono un maschio adulto medio, in grado di preparare in piatto di pasta con una certa varietà di sughi in modo accettabile, qualche antipasto appena più elaborato delle bruschette al pomodoro, e che deve fare ancora un po’ di pratica con i secondi e, soprattutto, con i dolci. So fare una frittata (in tutti i sensi, direbbe qualcuno, e anche più di una alla volta), cuocere un hamburger e infornare i bastoncini Findus, condire un’insalata senza esagerare con il limone, o l’aceto, o il sale, e poco altro. Insomma, un livello basic, forse un intermediate di basso profilo, se guardiamo alla buona volontà, e non molto di più.
Tuttavia cucinare mi piace. Mi rilassa. Soprattutto quando è un’attività fine a se stessa. Ho scoperto da poco il piacere di cucinare in un momento della giornata scollegato dagli orari del pranzo e della cena: insomma, il cucinare adesso per mangiare più tardi. Certo, è una scoperta che le mamme/mogli/lavoratrici/sportive hanno fatto circa un secolo fa, forse soprattutto per necessità, ma l’importante è arrivarci. E io ci sono arrivato. Con i miei tempi, ma l’ho fatto.
Ancora non sono il tipo da dispensa e frigo pieni: non è che abbia riempito contenitori della Tupperware con parmigiane di melanzane, polpette al sugo o porzioni di primi già pronte, ma da poco ho iniziato a preparare i piatti quando, finito di lavorare e spento il pc, ho del tempo a disposizione. Meglio del binge watching spiaggiato sul divano.
Per me è una nuova forma di creatività che, scollegata dal pasto in sé, mi consente di fare tutto con calma e – consentitemelo – di sporcare un po’ di più. Sì, anche in questo sono un uomo medio, che ha bisogno del doppio degli utensili e delle ciotole e che lascia il doppio delle tracce. Sì, poi pulisco; mai abbastanza, e mai abbastanza bene a quanto pare, ma pulisco. E sto migliorando. La mia compagna mi ha insegnato a lavare le cose “man mano che le usi”, risciacquandole interamente a mano o riempiendo la lavastoviglie. Voi direte che è un passo davvero piccolo per l’umanità, e sono d’accordo, ma è un passo da gigante per me, che fino a poco fa riempivo di “scarti di produzione” il lavello, il tavolo, il piano di lavoro, parte del pavimento e solo dopo, a giochi fatti, mi rimboccavo le maniche e mi preparavo ad affrontare il mostro (dopo pranzo o dopo cena, capirete, con enorme dispendio di energie e soprattutto rovinandomi il magnifico momento della controra). Adesso affetto le verdure – un’attività magnifica, soprattutto i pomodori – le metto sul fuoco e contemporaneamente, mentre rosolano, o stufano, o lessano, io lavo il tagliere, il coltello, i piatti e quel che c’è da lavare e poi mi metto a preparare altro. La mia cucina non è più un campo di battaglia e ho la sensazione di avere tutto sotto controllo. È bellissimo.
La mia compagna mi ha anche insegnato a cuocere i sughi prima e poi a mettere l’acqua sul fuoco. Un altro uovo di colombo che mi ha cambiato la vita. Ho scoperto che posso dedicarmi completamente ai sughi – la parte che mi piace di più – senza fare la corsa contro il tempo di cottura della pasta (ricordate, sono un uomo, una cosa alla volta), tanto poi basta riscaldarli o, alla peggio, allungarli con un po’ d’acqua di cottura. Con questo questo posso dire, alla vigilia dei 48 anni, di aver conquistato una fetta di inaspettata libertà.
Anche questo post, per esempio, lo sto scrivendo durante un tempo di attesa post cooking. Cosa ho preparato? Non ve lo dico. Ma si è raffreddato, è bello pronto, e mi sta chiamando.
Quindi, buon appetito.