Anni fa ho frequentato un corso di scrittura creativa. Non ne ho ricavato granchè, in termini di competenze narrative. In compenso, ho incontrato belle persone, veri amici, con i quali ho vissuto alcuni tra i momenti più belli degli ultimi anni. E’ andata bene lo stesso, direi.
Ad ogni modo, tra gli esercizi che ci venivano assegnati per casa – proprio come a scuola – ne ho portati a termine alcuni – proprio come a scuola. Qualcuno in tempo, qualcuno dopo. Scartabellando ne ho recuperati tre, e ho pensato di proporli qui. Non tutti insieme, ovviamente, sennò sai che palle, ma un po’ alla volta, come fossero feuilletons dell’Ottocento.
Se vi va, se avete tempo e voglia, magari dategli un’occhiata e fatemi sapere cosa ne pensate.
Con delicatezza, please.
1
L’appuntamento è per le 21, al Goose. Non un caso, ovviamente. È il locale dove siamo diventati quello che siamo o, considerate le circostanze, forse dovrei dire quello che eravamo.
Ho telefonato per prenotare il tavolo, il solito, quello incassato nella nicchia naturale che si apre in fondo al locale. “La caverna”, la chiamavamo. È come il tavolo degli sposi. Leggermente più in alto degli altri, puoi vedere tutto: l’ingresso, il banco, la sala, il corridoio che porta alle toilette. C’è stato un tempo in cui tutte le decisioni importanti della mia vita sono passate da qui. Be’, quasi tutte.
Arrivo in anticipo. Faccio sempre così, è un’abitudine. Ordino un’acqua minerale per ingannare il tempo e resto ad aspettare, spiluccando noccioline e pensieri. Mi chiedo se sia stata una buona idea tornare qui, e non so darmi una risposta. Tra poco lo scoprirò, e non so se è una buona idea nemmeno questa.
Deborah è la prima ad arrivare. Per l’occasione ha scelto pantaloni aderenti neri e un giacchino di pelle dello stesso colore. Ha i capelli sciolti, colorati di un biondo acceso, e un pendente d’argento che le luccica al collo. Mi vede subito. Mi indica con un cenno del capo alla giovane cameriera che si è fatta avanti per accoglierla. La ragazza si fa da parte e Deb avanza verso di me, attirando gli sguardi dei ragazzi che nel frattempo hanno preso posto nel locale. Non mi stupisce. Deborah ha un fisico da cestista, è bella ed è sicura di sé. Quando mi alzo per salutarla devo quasi sollevarmi sulle punte per baciarle le guance.
“Sei splendida”, le dico.
Deb fa un mezzo passo indietro e mi dà un’occhiata veloce. “Trovo bene anche te. Hai perso qualche chilo”.
“Qualcuno, sì”.
Ci sediamo. Anche l’ultima volta che l’ho vista, esattamente un anno fa, era vestita di nero. Quel giorno però i suoi capelli erano in parte coperti da una garza di cotone e i suoi occhi nascosti da un massiccio paio di occhiali scuri.
“Gli altri?” Mi chiede.
“Saranno qui a momenti”.
“Bene”. Deb prende il menu e lo sfoglia distrattamente. “È sempre lo stesso”, dice.
“Sì”.
“Be’, almeno certe cose non cambiano”, sorride lei.
“Certe cose no”, dico, ricambiando il sorriso.
Una delle ragazze, una brunetta leggermente troppo in carne e con un brillantino incastonato nella narice, si avvicina per prendere le ordinazioni. Le chiediamo due birre piccole, per cominciare. Lei prende nota e se ne va. “Allora”, chiedo quando siamo di nuovo soli. “Come stai?”
“Bene”, risponde lei d’acchito. Poi mi guarda. Sa che la mia non è una domanda generica. Noto per la prima volta la sottile cicatrice bianca che dalla tempia destra le arriva fino all’orecchio. Mi chiedo se la decisione di portare i capelli sciolti e di cambiarne il colore sia in qualche modo un tentativo di nasconderla. Mi chiedo anche se mi odia, ogni volta che si guarda allo specchio. “Ho giorni buoni”, dice lei. “E altri meno. E tu?”
“Più o meno lo stesso”, dico, anche se i miei giorni buoni sono finiti da un pezzo. “Ho smesso di guidare”.
Deb apprende la notizia senza dire nulla. Sappiamo entrambi che questo non può in alcun modo cambiare le cose.
“Ecco qua”, dice la brunetta, materializzandosi all’improvviso. Posa sul tavolo due sottobicchieri, le nostre birre, e ciotole con olive, patatine e pistacchi. “Torno dopo per i panini”.
Io e Deb restiamo immobili, come indecisi sul da farsi. Poi lei afferra il bicchiere e lo solleva. “Be’”, dice, guardandomi negli occhi. “Ai giorni buoni.”
“Ai giorni buoni”, rispondo, facendo tintinnare i bicchieri. Butto giù un lungo sorso. Oltre la spalla di Deb vedo Nico e Alessandro fermi all’ingresso. Nico ha i capelli più corti, Ale è sempre lo stesso. Sotto il giubbino aperto indossa una maglia dei Glasgow Rangers. Puntano decisi verso di noi. Deb segue il mio sguardo e si volta. Alza la mano per salutarli. Sono felice di non dover trascorrere altro tempo da solo con lei.
(Continua… Prima o poi. Forse.)
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