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Sfera, di Michael Crichton;
- Neuromante, di William Gibson;
- Il delitto della terza luna, di Thomas Harris;
- Le notti di Salem, di Stephen King.
Su Thomas Harris c’è da dire che, dopo il successo del film Il silenzio degli innocenti, Il delitto della terza luna è stato ristampato con il titolo originale, Red Dragon, ed è così che probabilmente alcuni di voi lo conoscono. E’ il primo libro in cui compaiono Hannibal Lecter e Will Graham.
Su Stephen King potrei aprire un capitolo a parte, come probabilmente molti di voi. Mi limiterò però per ovvi motivi a citare alcuni dei racconti che mi hanno segnato quanto, o più, del romanzo: Stand By me, ricordo di un’estate, dalla raccolta omonima. Leggo e rileggo sempre con il medesimo piacere anche il racconto nel racconto, quello scritto dal protagonista Gordon Lachance, Stud City, un capolavoro nel capolavoro. Sempre della stessa raccolta non posso dimenticare Il metodo di respirazione, con la sua gelida notte newyorkese, il suo goticissimo club e l’oscuro e impeccabile maggiordomo Stevens. Ci sono poi Turno di notte, da A volte tornano, e La nebbia, da Scheletri.
Di questi romanzi e racconti la cosa che mi ha sempre colpito di più è la palese prevalenza della storia sullo stile. Non trovo in essi nessun orpello letterario, nessun compiacimento della scrittura. Non all’apparenza, almeno. La storia è tutto: la storia pura e semplice, nuda e cruda, con tutta la sua irresistibile forza. Frasi semplici e asciutte, nessuna parola superflua. Ho letto ciascuno di questi romanzi e racconti più di una volta, e non mi sono mai annoiato. Ogni volta come la prima. Ogni volta un nuovo giro sull’ottovolante, una discesa tra le rapide con la corrente che mi afferra alla prima pagina e non mi lascia andare prima dell’ultima. Quanto mi sarebbe piaciuto saper scrivere così.
I puristi senz’altro storceranno il naso. A mia discolpa posso dire che anche io, con il passare del tempo, ho letto e apprezzato romanzi e racconti più complessi, autori più “alti”, opere in cui la scrittura – lo stile, appunto – costituisce un valore in sé. Ho letto Carver ed Hemingway, Garcia Marquez e Isabel Allende, ho amato ed amo Pennac e Houellebecq, Lobo Antunes e Philippe Delerm e dozzine di altri di cui adesso, guarda caso, non ricordo il nome. Eppure nessuno di questi mi ha mai dato la stessa emozione, nessuno ha provocato in me la stessa spinta all’emulazione, lo stesso desiderio di inventare storie, di creare, di mettere la scrittura al centro della mia vita.
Questi sì. Per cui devo ammettere, contro ogni mia pretesa intellettuale e contro tutta la mia formazione classica e universitaria, che queste sono le storie – e i libri – che mi hanno formato di più. Gli altri, gli innumerevoli altri, tutto il resto delle mie pur numerose letture, sono state solo il frutto di una piacevole abitudine. Come direbbe Pieraccioni, “fanno volume”.